“Girte!” Girati! dice Elianto.
“Gnan-ca se it më stòrse la gamba!” Neanche se mi storci il gambo! dice Strello.
“Girte!” Girati!
“No”. Non c’è uno straccio d’ombra. Sole sparacchia raggi da stendere un cammello. Quelli che hanno ali o zampe se ne stanno al fresco, gli uccelli in mezzo al fogliame, le galline sotto le tegole del loro riparo. Gli Sbilaucini? Oh, quelli! Tappati in casa, dietro mura spesse come dighe.
“Girte, për dësmila girasoj!” Girati, per diecimila Girasoli! dice Elianto.
“It bràije pròpe, neh!” Sbraiti proprio, vero? dice Strello, seccato.
Ma che fa quel lombrico? Stanco di stare al fresco? Di vivere? Non aspettavano altro, le galline. Gli si lanciano contro; una tira di qua, l’altra di là. Lui si allunga e si allunga, ma non può resistere, non può farcela! Zac! Ecco, infatti. Finita. Se ne tornano al pollaio, ciascuna con un pezzo che si sbatte nel becco. Zampettano lievi come piume.
“It sopòrto pì nen, për dësmila Mordirje rusmen-te!” Non ti sopporto più, per diecimila Mordirje arrugginite! dice Strello.
Lui ha uno scatto d’orgoglio, agita la capocchia come a dire a Sole “scendi se hai coraggio!”, ma quello spara senza sosta raffiche di raggi. Strello si contorce, agita le foglie. Impresa impossibile quella di ripararsi da Palla di Fuoco! Capita che passi una nuvoletta, meglio di niente, certo fa ombra, ma non dura. I cani delle fattorie qui intorno, sulle colline, si sono zittiti, anche loro al riparo, nelle cucce.
“Girte!” girati!
“A serv a gnen-te giresse, nòno!” Serve a niente girarsi, nonno!
Il vecchio si raddrizza e lo fissa dritto nei petali. È stanco, le goggole gli si strozzano nei pori.
“Gir…” si blocca “…te”.
Ci prova ancora.
“Gir… te”.
Strello agita i petali come lame rotanti.
“Am giro nen, it las capì?” Non mi giro, hai capito?
Non gli importa se è vecchio e ha gli acciacchi.
“Im na frego, am giro nen!” Me ne frego, non mi giro!
Se ne farà una ragione, Elianto?
Galli e galline, ricci e lombrichi invece stanno dove gli pare, all’ombra, per dirne una.